L’altra metà del lavoro

 Le donne ritratte da Max Mandel emanano una speciale carica positiva, sono donne forti, concrete,  sorridenti. Il mondo femminile è descritto attraverso i suoi aspetti migliori, quelli che permettono alle donne di non arrendersi mai davanti alle prime difficoltà, che le rendono capaci di costruire situazioni nuove su misura per loro. 
 Risolute e coraggiose portano a termine progetti, ne inventano di nuovi, sempre con quel pizzico d’ironia che aiuta a sdrammatizzare. In questo piccolo spaccato del lavoro femminile, l'immagine delle disoccupate ci mostra poi come molte donne sappiano affrontare situazioni temporaneamente scomode come quella della disoccupazione e del precariato: dietro i sorrisi e gli sguardi limpidi, infatti, possono celarsi rinunce e desideri irrealizzati. 
 Numerosi sono i compromessi che costantemente s’interpongono tra gli obiettivi di lavoro e il loro raggiungimento. La parità dei diritti sulla carta non corrisponde a una reale valutazione delle necessità e dei disagi che costellano ancora oggi il percorso di una donna. L’altra metà del lavoro, quindi, è quella con maggior capacità di adattamento, combattiva e instancabile nella ricerca di un posto al sole. 
 La penombra, dentro la quale il sesso chiamato erroneamente “debole” ha vissuto per secoli, lascia il posto a un messaggio più attuale, di taglio decisamente ottimista: “Noi ci diamo da fare, voi dateci ascolto!”.

Cristina Guerra

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Max Mandel. Il mestiere della luce

 Sofisticato cultore della fotografia, schiavo solo della propria sottile percezione del reale, Max Mandel è un instancabile sperimentatore della propria arte, un esteta dell'immagine perfetta capace di squadernare in ogni dettaglio un intero cosmo d'evocazioni contemplative, al modo di una lirica sufi o di un haiku giapponese.
 Fedele all'innata nobiltà del suo carattere e umile oltre misura, Mandel non ha mai disdegnato di accostare al proprio privato laboratorio di ricerca poetica e simbolica, un atelier artigianale, il cui lavoro, di pregio formale altrettanto alto, è interamente consacrato alle ricerche iconografiche per importanti case editrici e alla documentazione pittorica, scultorea, architettonica o archeologica per la realizzazione di raffinati libri d'arte. Le sue ricognizioni fotografiche, applaudite in prestigiose sedi nazionali e internazionali, si distribuiscono e si temprano così tra la volontà di un distacco scientifico e inappuntabile - lucido e compiuto servizio reso ad altri - e la più intensa attenzione per una personalissima matematica dell'anima, nell'esigenza di eliminare da sé tutto ciò che sia il fallibile gioco delle emozioni e dei sentimenti, in favore di un godimento della figura del tutto intellettuale e spirituale. L'oggettività lirica, o meglio, l'implicita risonanza simbolico-musicale dei soggetti interrogati con la macchina fotografica, è il demone benigno che domina sia lo sguardo del maestro artigiano, sia il cuore pensante dell'artista.
 
 La qualità visiva delle immagini qui proposte testimonia una sovrapposizione dei due tavoli da lavoro: mentre s'incolonna un limpido, gradevole reportage sulle donne italiane e i loro mestieri, si suggerisce nascostamente una più partecipata indagine poetica del fotografo sui volti, i corpi e gli strumenti rappresentati. Questi ritratti in bianco e nero, aperti, semplici, per lo più sorridenti, profumano come un mazzo di fiori chiari appena schiusi nel sole estivo e sono un inno ottimista al piacere della fatica, all'orgoglio del saper fare, alla luce che può giungere da un travaglio che si è scelto, al partorire nell'amore laborioso delle mani. Fotografe e parruchiere, registe e tessitrici, erboriste e casalinghe, panettiere e vetraie, restauratrici e bariste, contadine e musiciste, persino speranzose disoccupate - per citare alcuni tra i tanti soggetti riletti da Mandel - si susseguono con piacevolezza luminosa. Eppure l'arte di Max si comprende molto meglio accostandola alla pittura, piuttosto che ad un servizio giornalistico: il suo è un mestiere che parla d'altri mestieri, svelandoli e immedesimandovi quel tanto che basta per offrirci il gusto della forma, il culto di una bellezza concreta e colma di significati non detti.

 Mi permetto qui di citare due esempi efficaci. Una giovane restauratrice guarda l'obiettivo con aria divertita e soddisfatta, mentre sulla parete bianca e screpolata sono appesi, sottili e lunghissimi come canne d'organo, gli strumenti del suo lavoro; l'alta spalliera della sedia è fatta di linee altrettanto lunghe, di asticelle gotiche dalle quali sembra voler far capolino il viso dell'artigiana. La psicologia della donna è rivelata più che dai tratti del volto, dalla sobria estetica degli oggetti del mestiere; uno stile che racconta il rigore di azioni cariche di premura e conoscenza e, mentre evoca i profumi e i suoni di quella stanza spartana, spiega un agire sobrio che ha qualcosa di celeste.

 L'altra immagine è apparentemente cinematografica: una panettiera al lavoro si volta verso il fotografo e sorride; le sue mani restano invisibili. Per significare la sua fatica giornaliera, vengono immortalati accanto a lei gli stampi metallici con cui dar forma alle pagnotte da cuocere: sono impilati gli uni sugli altri in un gioco di barbagli riflessi. Il viso stesso si  muove dalla tenebra verso il sole e si apre nel sorriso. Sembra un'icona pubblicitaria ed è, invece, un vero e proprio ritratto antico: Mandel adatta a una sensibilità moderna e, soprattutto a un modo d'essere italiano, il gusto luministico dei maestri fiamminghi e olandesi, la cura per il mistero quotidiano, per i sentimenti lievi e taglienti, per i pensieri accennati e senza pronuncia. Ma il termine "ritratto" è forse scorretto: non abbiamo, anche in questo caso, solo una ricerca poetica intorno alla donna qui raffigurata, perché qui, come in tutte le altre fotografie, la vera protagonista è l'atmosfera neutra in cui le figure riflettono e agiscono. Tale aura di mattino estivo non è solo un espediente per far risaltare i tratti del viso, le vesti, gli arnesi del mestiere: è la luce come soggetto fondamentale di tutto il lavoro, il velo di trasparenza e serenità interiore che tutto racchiude e sospende, rendendo leggera la carne e la fatica e densa, di contro, la sapienza.

Alessandro Giovanardi
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